Recensione “Gli anni del nostro incanto” di Giuseppe Lupo

Gli anni del nostro incanto
Giuseppe Lupo


Formato: Copertina flessibile

Pagine: 156
Genere: Racconti
EditoreMarsilio

Giudizio Sintetico

Negli anni dei detersivi e del Carosello, in un’Italia toccata dal miracolo, dal boom economico capace di proiettare le persone nel futuro, spettatori di novità assolute quali la Vespa prima e la 500 poi, i vestiti colorati, i capelli cotonati, scarpe di pelle e occhiali dalle forme più strane, conosciamo la famiglia protagonista di questo libro.
Li vediamo nel decimo anniversario di matrimonio dei genitori, immortalati a bordo della Vespa con il figlio maggiore Bartolomeo davanti al padre e la figlia minore Vittoria in braccio alla mamma.
Stanno andando al Bar Motta in centro a Milano , in  una domenica di Aprile che, vent’anni dopo, la mamma di Vittoria non ricorda più, dimenticata insieme al resto della vita familiare di cui, l’ormai adulta figlia, si trova a narrare per provare a sbloccare il meccanismo di amnesia che ha cancellato, come un colpo di spugna, la memoria della madre.
In un’estate dominata dai campionati mondiali di calcio in Spagna, all’interno di un ospedale milanese, Vittoria inizia il racconto della sua famiglia, partendo proprio da quella foto colpevole di aver cancellato la vita di un’intera famiglia.

A Milano, all’alfabeto delle sue periferie, all’incanto delle sue luci

Il romanzo di Giuseppe Lupo è un piccolo forziere dalla serratura debole, capace di contenere ricordi di una Milano e di un’Italia passata e il grande cambiamento della mentalità di quegli italiani che hanno visto migliorare e trasformare il modo di essere e di apparire.
Un forziere dall’apertura semplice ma in grado di contenere tesori preziosi che il lettore deve saper cogliere e apprezzare.
La famiglia di Vittoria è travolta dal cambiamento e si sentono, spesso alternati, sentimenti di nostalgia rispetto alla giovinezza dei genitori, i balli sui navigli, il romanticismo, i nomignoli, la nascita dei figli, nei confronti del presente, anni di duro lavoro ma di grandi soddisfazioni economiche, viaggi al paese d’origine per raccontare la ricchezza di Milano e dei suoi abitanti, il divario delle mentalità e la voglia di sottolineare la riuscita dell’impresa del trasferimento giustificata dalle grandi soddisfazioni.
L’infanzia di Vittoria è colorata e attraversata da tutti i fatti inerenti alla sua famiglia, da una madre indipendente e lavoratrice, restia ad immortalare momenti importanti della famiglia in fotografie, un padre desideroso di dare il meglio di se stesso per sé e per la sua famiglia, incapace però di esternare i sentimenti e dare valore ad essi, dettaglio di un grande cambiamento rispetto alla generazione dei genitori passati dove il rispetto imponeva la totale mancanza di affetto ed effusioni.

Un figlio, il maggiore, che attraversa gli anni settanta e quella prima scissione importante tra i genitori, rinforzati dal boom e dal miracolo che sentono proprio, e i figli che sentono il peso di una prima crisi generazionale mondiale, il terrorismo e la disoccupazione.
Lo sfondo di Milano che vede prima i navigli e Piazza Duomo come ritrovo per le famiglie e poi l’attentato di piazza Fontana e le conseguenze derivate.
La Milano del miracolo e la Milano del terrore.
Una famiglia stabilitasi a Lambrate, lontana dal centro città come a sottolineare che la meta non è stata del tutto raggiunta.

Un libro prezioso per chi ha vissuto quegli anni e vuole accarezzarne il ricordo, apprezzabile dalla mia generazione assente che può provare ad immaginare i vissuti di nonni e genitori e capirne dinamiche e variabili.
Il rapporto tra genitori e figli, il peso della generazione dei figli succeduta ai genitori protagonisti di un grande boom e delle influenze internazionali sulla moda e lo stile di vita, il consumismo, il trasferimento dalla campagna alla città, dal sud al nord e tantissime sfumature che il lettore deve cogliere e apprezzare.
La bellezza di queste pagine è rappresentata dai dettagli sottili ed eleganti legati alla città e alla vita dei protagonisti, i richiami storici che si fondono con le vite, tanto da rendere superflui quei numeri  degli anni che si ritrovano nei fatti storici e nei soprannomi (atomico e sovietico).
Facilità di lettura unita ad una narrazione che unisce il ricordo e la riflessione, un finale aperto come volesse suggerire che la vita non finisce con la storia del singolo e la memoria continua nelle vite di chi resta.

Una nota doverosa deve essere fatta per la puntualità e l’inserimento perfetto nel contesto di canzoni, prodotti nuovi, cambi di accessori, viaggi, nomi…tutti i dettagli storici capaci di completare un quadro già perfetto.

Giuseppe Lupo è nato in Lucania (Atella, 1963) e vive in Lombardia, dove insegna letteratura italiana contemporanea presso l’Università Cattolica di Milano e Brescia. Per Marsilio ha pubblicato L’americano di Celenne (2000; Premio Giuseppe Berto, Premio Mondello, Prix du premier roman), Ballo ad Agropinto (2004), La carovana Zanardelli (2008; Premio Grinzane Cavour-Fondazione Carical, Premio Carlo Levi), L’ultima sposa di Palmira (2011; Premio Selezione Campiello, Premio Vittorini), Viaggiatori di nuvole (2013; Premio Giuseppe Dessì; tradotto in Ungheria), Atlante immaginario (2014) e L’albero di stanze (2015; Premio Alassio-Centolibri, Premio Frontino-Montefeltro, Premio Palmi). È autore di numerosi saggi e collabora alle pagine culturali del «Sole 24 Ore» e di «Avvenire»

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