Recensione de “Il rogo di Berlino” di Helga Shneider – Adelphi Edizioni –

Il rogo di Berlino

– Helga Schneider –

“Allora chi sono più cattivi, i russi o i tedeschi?” seguitai a tormentarlo, ma lui continuò a rispondermi bonariamente: “Ogni popolo ha i suoi uomini buoni e i suoi uomini cattivi; forse nel popolo tedesco c’è una tendenza che in quello russo appare meno accentuata, il fanatismo.”

Formato: Copertina flessibile

Pagine: 229
Genere: Storico

Giudizio sintetico


Si fa sempre una grande distinzione tra vincitori e vinti, i primi, vittime di soprusi e, i secondi,  complici delle barbarie commesse.

Si dice che la storia sia sempre stata  scritta dai vincitori ma, per quanto mi riguarda, preferisco la frase dell’autore di Fight Club, “La storia si divide in mostri e vittime. O testimoni.”

 

Helga Schneider inizia il racconto della sua vita a Berlino nel 1941, anno i cui i tedeschi avviarono l’operazione Barbarossa sul fronte orientale.

La piccola Helga, che nel 1941 aveva appena quattro anni, vede la madre abbandonare il tetto familiare, con marito al fronte e due figli piccoli, per seguire e abbracciare l’ideologia nazista e dedicarle l’intera esistenza.

Helga e il fratellino Peter, di 19 mesi, vengono quindi accolti dalla sorella del padre prima e dalla nonna paterna poi, seguite  infine dalla nuova moglie del padre, Ursula che li porta con sé nella casa di famiglia.

Il rapporto tra Helga e Ursula non sarà mai idilliaco, anzi, dalla prima apparizione scritta di Ursula si capisce l’amara convivenza e l’assenza di stima reciproca, tanto che la bambina verrà allontanata due volte da casa e obbligata a soggiornare in un istituto di correzione prima, e in un collegio poi.

Ursula avrà sempre e solo occhi per Peter, ed Helga si sentirà in difetto agli occhi di quella donna che sembra non voler ascoltare le sue grida di aiuto.

Quando la situazione bellica diventerà drammatica, Helga tornerà a casa, trovando una situazione spaventosa.

Berlino è al centro dei bombardamenti e gli allarmi antiaerei portano la popolazione a rifugiarsi negli scantinati in attesa del cessato pericolo.

La vita è privata di ogni libertà, ma il tedesco civile rimane orgoglioso e carico di speranza, i bambini, tra cui Helga e Peter, possono far visita a Hitler nel bunker della cancelleria, gli altoparlanti diffondono messaggi illusori di armate pronte a ribaltare la situazione.

Il cibo scarseggia, l’acqua può essere presa nei rubinetti pubblici, mettendo in pericolo la propria vita in caso di attacco aereo, l’igiene è assente e le cimici condividono il letto, le malattie non possono essere curate e la situazione è drammatica e sembra irrimediabile.

E’ qui che si concentra la parte centrale del racconto di Helga, la vita nello scantinato, i problemi con i condomini, le vittime, la visione dei cadaveri, della città sfigurata dalle bombe, il rapporto con il fratellino, la matrigna e il legame sincero e affettuoso con il padre di Ursula, Opa.

La paura è alta, sia nei confronti di quel regime in cui alcuni credono e altri iniziano a criticare, sia nei confronti di quegli invasori che presto metteranno la parola fine a questo lungo conflitto.

I Russi sono sempre più vicini ma, nei loro confronti, vengono narrate cose indicibili… .

 

Il racconto di Helga, racchiuso in questo libro come in un diario, è non solo la testimonianza viva e storica di una Germania che passa dalla supremazia alla sconfitta totale, è la visione autentica di una berlinese bambina, che convive, nel suo piccolo, con le ristrettezze e la costante paura di morire.

Il suo racconto non è la voce di una nazione, ma del singolo, del civile tedesco che si trova a dover fare i conti con un’ideologia e un regime approvato e seguito, divenuto complice del fanatismo di Hitler e, di quella voglia di riscatto, a seguito delle pesanti conseguenze economiche e d’orgoglio seguite alla prima guerra mondiale.

Un diario che non è carico di riflessioni, forse per l’età della bambina non sarebbe stato credibile fino in fondo, ma descrive in modo accurato e commovente tutto ciò che avviene in quegli anni, dando peso e importanza al singolo attimo.

Le carenze, le privazioni, le paure e tutto ciò che Helga è costretta a provare e sopportare, vengono assorbite dal lettore che prova ad immedesimarsi e a comprendere quanto, una situazione del genere, sia difficile da immaginare.

Un libro che scorre velocemente senza rendersene conto, un flusso di parole ben scritte e libere da carichi d’opinione politica e storica.

Una testimonianza importante e da una prospettiva diversa, inusuale, soprattutto perché scritta da un’adulta spogliata della sua infanzia a causa di due privazioni drammatiche: l’amore e la libertà.


Helga Schneider nel 1941 è stata abbandonata dalla madre che è diventata membro delle SS e poi guardiana nei campi di sterminio.
La Schneider vive dal 1963 in Italia.
Tra i suoi libri più noti: Il rogo di Berlino, Porta di Brandeburgo, Il piccolo Adolf non aveva le ciglia, Lasciami andare, madre, L’usignolo dei Linke. Per Salani ha pubblicato Stelle di cannella (Premio Elsa Morante ragazzi 2003), L’albero di Goethe e Heike riprende a respirare.


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