Recensione “In tempo di guerra” di Concita De Gregorio – Einaudi –

In tempo di guerra

–  Concita De Gregorio 

Il racconto di Marco e dei suoi trent’anni tiene insieme la storia di una «generazione smarrita» e quella del Novecento: il secolo di cui tutti siamo figli. Mi ha cercata un giorno per farmi conoscere la sua battaglia, la stessa di tanti suoi coetanei. La sensazione di non trovare un posto in una famiglia in cui ognuno, quel posto, giusto o sbagliato che fosse, l’aveva trovato. Un bisnonno partigiano, un nonno comunista e uno professore. Una nonna «santa», l’altra medico. I genitori nelle milizie degli anni di piombo, poi riparati nella vita dei boschi, infine in una setta. L’elenco degli eserciti è completo, a contare tre generazioni dalla sua.E lui? «Io sono nato in un tempo di guerra mascherato da tempo di pace», mi ha detto: «Quando dico noi, non so chi siamo, noi. Siamo una moltitudine di solitudini. Non c’è niente che possiamo cambiare». E invece sí. Invece questa storia mostra che c’è sempre un luogo dove andare. Qualcosa che cambia. Anche quando fuori c’è nebbia e nessuno ti indica la strada. La vita corre e chiama, bisogna saperla ascoltare.
Concita De Gregorio

Formato: Copertina flessibile

Genere:  Romanzo 
Pagine: 176
Editore: Einaudi


Giudizio Sintetico


A volte basta fare un passo, dire una parola, spostare appena lo sguardo per vedere il mondo, come una sorpresa, con occhi diversi. È quello che accade a un ragazzo di trent’anni quando inizia a ripensare alla propria vita: Marco è alla ricerca di una strada e si è sempre sentito estraneo a una famiglia, la sua, che riassume le contraddizioni del secolo scorso. Una famiglia in cui ognuno crede in qualcosa, sia un’idea, un partito, una chiesa. Lui, invece, si sente in lotta contro tutto: il soldato di un esercito invisibile. Ed è nel pieno di un’età cruciale, di cui nessuno parla – la guerra dei trent’anni, tempo di primi bilanci e culla di molti congedi. Qui comincia una storia dalle tante anime, piena di slanci di dolori di dubbi, e di ironia. Il racconto di un ragazzo che, cucendo insieme i pezzi del proprio passato, prova a capire chi è davvero. Marco ama la musica e i numeri. Fa tornare i suoi conti, sa ascoltare. La cosa fondamentale è stare a tempo. Anche nel dialogo con la sorella amatissima, con l’amico, con una fidanzata che come tutte le donne «gli mette ansia», coi nonni. Cerca un vero padre, scopre di non essere, come credeva, un alieno in questo mondo. Una storia che è la nostra, quella dei nostri figli che provano a darsi un futuro. Lo faranno. Nel gioco del mondo, si perde solo quando si rinuncia a giocare. Marco – le tasche piene di tutto quello che manca – va e ci porta con sé. È magnifico tirare il sasso e saltare con lui.

C’è la vita di ognuno di noi in questo racconto di Concita De Gregorio, un romanzo epistolare nel quale è impossibile non riconoscersi a pieno: siamo tutti un po’ (…un po’ tanto) Marco.
Non mi aspettavo tanta intensità in queste pagine che raccontano quel passaggio di vita decisivo che si compie quando si vira alla boa dei 30 anni, il momento in cui si stilano i primi bilanci sugli aspetti “universalmente” ritenuti importanti: la famiglia, i figli, il lavoro…
È un dialogo a due, tra Marco e l’autrice – ma potrebbe tranquillamente essere il dialogo di ognuno di noi con lei – in cui il primo porta in dote email, lettere e frammenti di un vecchio diario scritto quando era bambino, e Concita De Gregorio una serie di risposte (le risposte che non ho) che rappresentano, più che altro, spunti per generare profonde riflessioni, risposte che non si impongono, né a Marco né a chi legge, ma che assumono l’aspetto della linfa vitale di un bellissimo dialogo che si interseca su più piani.
Non è solo un dialogo tra persone, è uno scambio intergenerazionale, bellissimo: da una parte i giovani adulti, coloro che ancora fanno fatica a trovare la giusta collocazione nella società, sospesi tra l’essere considerati giovani uomini e giovani alle prese con un’adolescenza prolungata e, dall’altra, gli over 50, coloro che nella vita hanno (già) avuto la possibilità di costruirsi qualcosa. E poi, però, ci sono anche gli esempi di 30enni che si impegnano e lottano per cambiare il mondo e alcune sue ingessature e che, con le loro azioni, spingono “gli adulti” a riservargli il giusto spazio in un contesto ostile.
Il confronto generazionale e le riflessioni contenute nel libro, ci immergono totalmente tra le pagine, sembra quasi che magicamente si venga trascinati tra di esse o che il racconto stesso esca dalla carta per avvolgerci pienamente.
È un libro che induce a praticare l’esercizio della memoria, quella vicinissima a noi, e che induce a riflettere su noi stessi e su quei confini più o meno visibili e più o meno marcati che oggi ci separano dalle generazioni dei nostri genitori, generazioni di giovani di qualche anno fa in cui l’individualismo aveva un peso specifico ben diverso da oggi nelle lotte e nelle azioni per costruire il proprio futuro.
In tempo di guerra, è un libro che non impone risposte: ci impone riflessioni sul mondo di oggi e, soprattutto, su noi stessi, su chi siamo e sulle nostre vite.

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