Recensione M l’uomo della provvidenza di Antonio Scurati

M l’uomo della provvidenza

–  Antonio Scurati 

L’alito è pesante, il dolore addominale opprimente, il vomito è verdognolo, striato di sangue. Il suo sangue.
I fogli inchiostrati planano nella pozza maleodorante. Impossibile leggere il giornale. Il suo corpo glorioso, gonfio di ipersecrezioni acide e di gas, ingoia aria e cerca ossigeno reclinando il capo all’indietro sul bracciolo del divano. Tutt’intorno, però, la stanza vortica in una giga di ferite aperte sulla mucosa ulcerata.

Formato: Copertina flessibile

Genere:  Romanzo storico
Pagine:  656
Editore: Bompiani


Giudizio Sintetico


All’alba del 1925 il più giovane presidente del Consiglio d’Italia e del mondo, l’uomo che si è addossato la colpa dell’omicidio di Matteotti come se fosse un merito, giace riverso nel suo pulcioso appartamento-alcova. Benito Mussolini, il “figlio del secolo” che nel 1919, rovinosamente sconfitto alle elezioni, sedeva nell’ufficio del Popolo d’Italia pronto a fronteggiare i suoi nemici, adesso, vincitore su tutti i fronti, sembra in punto di morte a causa di un’ulcera che lo azzanna da dentro. Così si apre il secondo tempo della sciagurata epopea del fascismo narrato da Scurati con la costruzione e lo stile del romanzo. M. non è più raccontato da dentro perché diventa un’entità distante, “una crisalide del potere che si trasforma nella farfalla di una solitudine assoluta”. Attorno a lui gli antichi camerati si sbranano tra loro come una muta di cani. Il Duce invece diventa ipermetrope, vuole misurarsi solo con le cose lontane, con la grande Storia. A dirimere le beghe tra i gerarchi mette Augusto Turati, tragico nel suo tentativo di rettitudine; dimentica ogni riconoscenza verso Margherita Sarfatti; cerca di placare gli ardori della figlia Edda dandola in sposa a Galeazzo Ciano; affida a Badoglio e Graziani l’impresa africana, celebrata dalla retorica dell’immensità delle dune ma combattuta nella realtà come la più sporca delle guerre, fino all’orrore dei gas e dei campi di concentramento. Il cammino di M. Il figlio del secolo – caso letterario di assoluta originalità ma anche occasione di una inedita riaccensione dell’autocoscienza nazionale – prosegue qui in modo sorprendente, sollevando il velo dell’oblio su persone e fatti di capitale importanza e sperimentando un intreccio ancor più ardito tra narrazione e fonti dell’epoca. Fino al 1932, decennale della rivoluzione: quando M. fa innalzare l’impressionante, spettrale sacrario dei martiri fascisti, e più che onorare lutti passati sembra presagire ecatombi future.

Due anni fa veniva pubblicato “M il figlio del secolo” e quasi tutti siamo rimasti affascinati da questo romanzo accessibile a tutti che raccontava la nascita del fascismo la sua crescita, le violenze, gli scontri ideologici e anche le prime mosse per arrivare alla vittoria con il risultato di quelle elezioni del 6 aprile 1924 che diedero a Mussolini il 64,9% delle preferenze ma che soprattutto apriva a quelle personalità che, raccontate con una penna ricca di fascino, hanno preso forma, carattere e importanza, pedine sulla scacchiera di un gioco a cui tutti i lettori erano invitati ad assistere.

Non fosse altro che questa è Storia, e la storia deve essere conosciuta, anche raccontata in un modo informale a cui tutti, con qualsiasi titolo di studio e occupazione, possano accedere per avere risposte o anche porsi nuove domande.

“M il figlio del secolo” è stato un successo perché ha dato vita all’azione con quel coinvolgimento  che solo i romanzi sanno dare e una narrazione che solo i grandi oratori  possiedono.

Il mio libro è un insieme di segnapagina, appunti, sottolineature, e ricordo quanto avessi centellinato la lettura per non farla finire troppo presto.

Quindi cosa non ha funzionato in “M l’uomo della provvidenza”?

Giocano, secondo me, due elementi diversi che vanno a formare la mia opinione su questo romanzo.

Un romanzo a cui riconosciamo la grandezza e la portata, l’importanza e la ricercatezza, la documentazione e il fascino ma a cui abbiamo fatto fatica a legarci, trasformando la lettura in un appuntamento quasi obbligatorio e non di piacere.

Il primo elemento è un elemento legato alla Storia: se nel primo romanzo avevamo azione, tanti fatti e una trama in costante fermento e crescita, qui abbiamo la staticità della diplomazia, i salotti, le incombenze burocratiche, tanti uomini, troppi colletti, nessuna azione. Noia.

Il secondo elemento è invece legato alla scelta di cosa raccontare.

Sembra quasi che Scurati, redarguito alla pubblicazione del primo romanzo, abbia voluto dare spazio e voce alle personalità che la Storia l’hanno scritta politicamente, a quelle cariche che hanno determinato i risvolti legislativi lasciando noi, lettori onnivori, privi della “ciccia”, di quei racconti un po’ legati ai retroscena che più ci conquistano e che ben convivono con il resto.

Ho sofferto vedendo due soli capitoli dedicati a Edda Mussolini, l’unica donna in grado di mettere in difficoltà il duce, tra amori proibiti e sfrontatezza, e a Galeazzo Ciano, personalità che forse meritava di essere raccontata di più.

Il declino della Sarfatti viene relegato a qualche trafiletto, le amanti e la moglie Rachele quasi invisibili.

Ma al lettore che cerca un romanzo, bisogna concedere qualche parentesi di vita mondana, romantica o selvaggia, e questo, legato alla staticità degli avvenimenti, ha ammorbato.

Tolti gli attentati, la questione dei patti lateranensi, qualche retroscena inusuale di personalità e famiglia, ho avvertito troppa staticità. E da un romanzo questo non è facilmente digeribile.

Quindi, tolto il fatto che si sa che la Storia non può seguire il ritmo dei nostri gusti letterari, riconosco la grandezza del romanzo, ovviamente seconda di parecchie spanne al primo, ma non riesco a perdonare il focalizzare l’attenzione troppo sulla diplomazia e la politica relegando la vita personale, le deviazioni e gli avvenimenti ricchi di fascino e curiosità a pochi capitoli.


Antonio Scurati è nato a Napoli nel 1969, è cresciuto tra Venezia e Ravello e vive a Milano. Docente di letterature comparate e di creative writing all’Università IULM, editorialista del Corriere della Sera, ha vinto i principali premi letterari italiani. Esordisce nel 2002 con Il rumore sordo della battaglia, poi pubblica nel 2005 Il sopravvissuto (Premio Campiello) e negli anni seguenti Una storia romantica (Premio SuperMondello), Il bambino che sognava la fine del mondo (2009), La seconda mezzanotte (2011), Il padre infedele (2013), Il tempo migliore della nostra vita (Premio Viareggio- Rèpaci e Premio Selezione Campiello). Del 2006 è il saggio La letteratura dell’inesperienza, seguito da altri studi. Scurati è con-direttore scientifico del Master in Arti del Racconto. Del 2018 è M. Il figlio del secolo, primo romanzo di una tetralogia dedicata al fascismo e a Benito Mussolini: in vetta alle classifiche per due anni consecutivi, vincitore del Premio Strega 2019, è in corso di traduzione in quaranta paesi e diventerà una serie televisiva.


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