Recensione di “Un romanzo russo” di Emmanuel Carrère – Adelphi –

Un romanzo russo

– Emmanuel Carrère  –

Ho capito che se la storia dell’ungherese mi ha sconvolto tanto è perchè in un certo senso è come la realizzazione di quel sogno. Anche lui scomparso nell’autunno del 1944, anche lui schierato dalla parte dei tedeschi. Ma lui, cinquantasei anni dopo, è tornato. E’ tornato da un posto che si chiama Kotel’nic, dove sono stato e dove immagino mi toccherà tornare. Perché ormai per me Kotel’nic è il posto dove sta chi è scomparso

 

Formato: Copertina flessibile

Pagine: 283
Genere: Autobiografia
Editore: Adelphi 


Giudizio Sintetico


Forse iniziare con “Un romanzo russo” per apprezzare Carrère può rivelarsi una mossa sbagliata, per chi non apprezza il linguaggio crudo e, a numerosi tratti, un uomo che non vuole piacere o essere capito e compreso, ma solamente ascoltato nella narrazione di due anni che hanno cambiato modo di essere e pensare di uno scrittore, sceneggiatore e regista che, di follia e orrore, ha riempito romanzi e racconti.

Un romanzo russo” è la storia di fallimenti personali e professionali, un periodo buio a cui, si evince dalla fine, può nascere qualcosa di diverso, un libro scritto per una madre di origini russe che, alla fine della Seconda Guerra Mondiale, ha perso un padre misteriosamente, probabilmente ucciso perchè collaborazionista.

Una storia che non ha mai raccontato con piacere ma che Carrère decide di aprire e chiudere come un vaso da riporre in cantina dopo essere stato analizzato, per scoprire, capire e analizzare la storia del nonno, ma soprattutto per esorcizzarla, così facendo dona al lettore la storia della sua famiglia, dell’emigrazione, della povertà e delle generazioni che hanno portato Emmanuel dove e com’è.

Una madre che vuole mantenere il segreto, un figlio che vuole esorcizzarlo, un atto egoistico che forse, ci auguriamo, possa aver migliorato e cambiato il rapporto tra i due.

Non solo storie famigliari in “Un romanzo russo”, ma l’origine di questa curiosità, un reportage che porta Emmanuel e la sua troupe in una cittadina Russa per raccogliere informazioni e narrare la storia di un soldato ungherese rimasto più di cinquant’anni recluso in un ospedale psichiatrico del posto e trovato per caso, a seguito della fine della Seconda Guerra Mondiale.

Due storie, una personale e una assolutamente fuori dal comune, legate da diversi fattori, che ci vengono raccontate nello stile ipnotico e unico di Carrère che riesce a tenere alta l’attenzione del lettore attraverso un linguaggio eleganze e interessante.

Trattandosi della vita dell’autore, le storie russe vengono alternate ad un racconto più intimo ed erotico, quello dell’autore con la fidanzata Sophie, dove il linguaggio alterna amore, erotismo e rabbia.

Un racconto erotico scritto per “giocare” sulle pagine di “Le Monde”, per sorprendere l’amata, cosa che invece diventerà l’inizio della fine della loro relazione.

Il ritorno in Russia, una tragica fine di persone incontrare ed entrate nel cuore dell’autore e tanti racconti diversi che riempiono due anni di una vita frenetica, curiosa ma a tratti intrisa di gelosie immotivate e dettagli personali.

 

Credo che questo scritto di Carrère sia un racconto dell’uomo e non dell’autore.

Il ritratto che ne esce non è lusinghiero o colorato da fiocchi e nastrini inseriti appositamente per piacere, e questo dettaglio l’ho apprezzato non poco.

Emmanuel, uomo ormai adulto che sembra vivere di narcisismo ed egoismo, ci racconta, con una scrittura davvero magnetica,  il turbine di pensieri, sentimenti e relazioni di due anni intensi, vissuti tra lavoro e desiderio di stare con una donna che sembra amarlo e ferirlo allo stesso tempo, una personalità non ordinaria che si scontra con le difficoltà umane della vita.

La storia con Sophie, che all’inizio diverte ma poi annoia, anche per l’eccessiva presenza di volgarità da bar, è la nota stonata di un racconto altrimenti interessante.

Le vicende famigliari, la ricerca della storia del nonno e del prigioniero russo mi hanno portata a metà del libro senza rendermene conto, un reportage stupendo e curato in ogni parola.

La parte centrale manca un po’ di magnetismo e curiosità, caratteristiche che invece ritroviamo nel finale.

 

Quello che vi promette (e mantiene) questo romanzo, sono la lettura d’un fiato e sensazioni che rimangono attaccate alla pelle per un bel po’ dopo la fine della lettura, oltre che il ritratto di un uomo che si spoglia dell’aura di scrittore bravo e originale per mostrare il lato meno affabile e apprezzabile di se stesso.

Esce tutto il suo egocentrismo, la vanità, il narcisismo e i tratti di un uomo che sembra fare autoanalisi per capire dove e come i fantasmi decidano di attacarlo, il perché i suoi romanzi contengono sempre follia e paura, cosa c’è nella sua vita e nel suo passato che tiene ostaggio il suo presente e condiziona il futuro.

Un ritratto amaro di cui vanno apprezzate la volontà e il desiderio di condivisione.

 

Una lettura che ho apprezzato, che mi ha lasciato la certezza di voler leggere romanzi di Carrère per ritrovare la scrittura elegante magnetica.

Un contenuto che perde tono e interesse in alcuni passaggi ma capace di donare i tratti grezzi e sinceri di un uomo asciutto che non cerca approvazione, e questo per me vale più di tutto il resto.

Curiosa e desiderosa di approfondire.


Emmanuel Carrère è scrittore, regista e sceneggiatore francese.
Laureato all’Istituto di Studi Politici di Parigi, è figlio di Louis Carrère e della sovietologa e accademica Hélène Carrère d’Encausse, prima donna ad essere eletta nell’Académie française, figlia di immigrati georgiani che fuggirono la Rivoluzione russa.
I suoi esordi sono stati nella critica cineatografica, per «Positif» e «Télérama». Il suo primo libro, Werner Herzog, un saggio, è stato pubblicato nel 1982.
Il suo esordio come romanziere risale invece al 1983: è L’amico del giaguaro, pubblicato da Flammarion. Il successivo Bravura (1984, in Italia pubblicato nel 1991 da Marcos y Marcos), invece, è stato pubblicato da POL, editore con il quale da allora non ha più interrotto i rapporti. Nel 1986 è uscito Baffi (da cui nove anni dopo lo stesso Carrère ha tratto l’omonimo film), nel 1988 Fuori tiro, nel 1995 La settimana bianca, nel 2000 L’avversario, nel 2002 Facciamo un gioco, nel 2007 La vita come un romanzo russo, nel 2009 Vite che non sono la mia e nel 2012 Limonov (con il quale vince il Prix Renaudot).
Tradotta in Italia dal 1996 al 2011 per l’editore Einaudi, che ne ha pubblicato 5 titoli, l’opera di Carrère viene rilanciata nel 2012 da Adelphi con la biografia del controverso personaggio Limonov, finalmente bestseller di vendite, e la ripubblicazione delle opere precedenti.
Nel 2015 sempre per Adelphi esce Il regno, a cui seguono A Calais (2016), Io sono vivo, voi siete morti (2016), Propizio è avere ove recarsi(2017), Un romanzo russo (2018).


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