Recensione L’educazione delle farfalle di Donato Carrisi

L’educazione delle farfalle

– Donato Carrisi –

Formato: Copertina rigida

Pagine: 429

Editore: Longanesi

Giudizio Sintetico

La casa di legno brucia nel cuore della notte. Lingue di fuoco illuminano la vallata fra le montagne. Nel silenzio della neve che cade si sente solo il ruggito del fuoco. E quando la casa di legno crolla, restano soltanto i sussurri impauriti di chi è riuscito a fuggire in tempo.
Ma qualcosa non è come dovrebbe essere. I conti non tornano. E il destino si rivela terribilmente crudele nei confronti di una madre: Serena.
Se c’è una parola con cui Serena non avrebbe mai pensato di identificarsi è proprio la parola «madre». Lei è lo «squalo biondo», una broker agguerrita e di successo nel mondo dell’alta finanza. Lei è padrona del suo destino, e nessuno è suo padrone.
Ma dopo l’incendio allo chalet tutto cambia, e Serena inizia a precipitare nel peggiore dei sogni. E se l’istinto materno che lei ha sempre negato fosse più forte del fuoco, del destino, di qualsiasi cosa nell’universo? E se davvero ci accorgessimo di amare profondamente qualcuno soltanto quando ci appare perduto per sempre?

Questo non è semplicemente l’ultimo capolavoro di Donato Carrisi. Perché Serena non è un personaggio come gli altri, e questa non è una storia come le altre. Questo è un viaggio inarrestabile alla scoperta degli angoli più oscuri del nostro cuore e delle nostre paure, al termine del quale il nostro modo di vedere il mondo, semplicemente, non sarà più lo stesso.

NCS: non ci siamo. Da Donato Carrisi, che rimane uno dei miei autori preferiti, mi aspetto molto ma molto di più.

Ci tengo a precisare che siamo, nel mio personale gusto, ai livelli più alti della letteratura thriller, un genere che amo ma, si sa, più si va in alto più la caduta fa male. Ecco perché sembrerò cinica e diretta ma questa volta mi sono sentita bluffata, raggirata, quindi perdonatemi se non avrò filtri nello scrivere questa recensione.

Premetto che ho iniziato questo libro con molta diffidenza: amo Carrisi per i suoi thriller, per la capacità di farmi divorare pagine come noccioline, per il concerto di personaggi, mistero, tensione e colpi di scena che riempiono le sue opere, e non ero contenta di sapere che, in questo romanzo, l’autore sarebbe stato “diverso”. Ad inizio lettura pensavo fosse molto lontano dal genere thriller, in realtà gli si avvicina molto sebbene cambino i canoni classici a cui Carrisi ci ha abituati. Il problema è più legato al fatto che questo romanzo è un enorme gioco di prestigio, un’illusione.

È la storia di una madre priva di senso materno che perde la figlia in un incendio durante un campus estivo e che decide di tornare, dopo un anno trascorso in preda alla depressione, nel paese svizzero di Vion dove si è consumata la tragedia, sperando di trovare indizi sul destino della figlia data a seguito dell’incendio della baita dove era ospite, unica vittima “sospesa” dell’incidente, guidata da una flebile speranza e da un cocktail di psicofarmaci.

Non è mai stato trovato un corpo e da qualche tempo la donna riceve video e telefonate anonimi che vorrebbero riaprire il tarlo nella sua mente e portarla ad indagare a Vion, una sfida prontamente raccolta nella speranza di trovare una flebile verità.

Questa è, a grandi linee, la trama del romanzo, definito in copertina il nuovo capolavoro di Donato Carrisi. Sì perché da Carrisi mi aspetto solo capolavori, e da qui nasce un po’ la delusione che guida le mie dita sulla tastiera. “L’educazione delle farfalle” è un romanzo che paga tantissime scelte stilistiche.

La prima è quella di affidare la storia, in primis, ad una madre snaturata e priva di senso materno che riesce a farsi odiare per buona parte dell’inizio del romanzo in cui emerge, in modo prolisso, come la figlia sia piombata senza desiderio nella sua vita e sia stata tenuta con la stessa energia emotiva che chiunque metterebbe in un rapporto uomo/pesce rosso.

Dopo la tragedia, drogata e stordita, si lascia guidare da una voce al telefono, con una fiducia che nasce da sensi di colpa che emergono senza un briciolo di dubbio e che la portano in un susseguirsi di azioni talmente improbabili e sconsiderate da bilanciare perfettamente quello che avrebbe dovuto essere un primo colpo di scena che diventa invece la più banale delle conclusioni, riportandoci esattamente al punto di partenza del libro.

Trecento pagine senza senso logico, se non per un incontro che avrà conseguenze nell’epilogo della storia. L’epilogo e la soluzione della storia è tra i più “telefonati” del genere noir/thriller italiano. Davvero qualcuno non aveva capito? Fatico a crederlo. Mi taccio per gli spoiler ma era scritto, era evidente, era troppo palese. Il colpo di scena sarebbe stato l’essere smentiti… e invece!

Torniamo agli elementi stilistici sbagliati… Per buona metà della storia, forse tutta, non c’è ansia, manca proprio la tensione. Mi sono confrontata con persone che addirittura non hanno dormito la notte, ma ciò che genera tensione (?!!!?) è in realtà un senso di autosuggestione, una serie di dettagli messi ad arte tra le pagine che si concludono sempre nel nulla.

Capisco che sia tutto molto soggettivo, ma la tensione è altra cosa, qui c’è solo tanta autosuggestione amplificata, probabilmente, dall’uso sconsiderato di psicofarmaci da parte della protagonista.

Se guardato da un punto di vista oggettivo questo romanzo è tutto fuorché ricco di ansia. Per non parlare delle pagine riempite di niente, di aria fritta, per prolungare l’attesa; oppure i segnali irrazionali che, come forse solo “Il sesto senso” ha eguagliato, dapprima lanciano segnali captati dal subconscio e poi emergono attraverso il senso materno (con latte che sgorga dal seno). Ma davvero?!?!?!? Siamo su Avatar o Scherzi a parte?

Quindi, ricapitolando: una storia di auto suggestione, dettagli superflui e inutili, prolissità , coincidenze e casualità che neanche nel genere fantascientifico sono così puntuali, una madre a cui dobbiamo perdonare tutto perché si redime strada facendo e, cosa manca.. ah sì, la fine dei capitoli volutamente scritta con lievi colpi di scena che rappresentano il piccolo defibrillatore a cui ci attacchiamo nella speranza che qualcosa cambi.

C’è un po’ di rabbia in questa recensione, sì lo ammetto; per me Carrisi è il maestro, è lo scrittore che attendo per mesi, con il quale perdo il senso del tempo e dello spazio, e fatico a perdonare alcuni dettagli che sono propri e giustificabili ad autori alle prime armi, non ad un Maestro che stimo e attendo con grande ammirazione e curiosità.

Ecco perché sembra tutto un grande bluff perché Carrisi ha voluto mostrare una storia insipida e poco brillante inserendo trucchi di magia per renderla appetibile al pubblico. Sono davvero amareggiata perché ho sperato fino a poco più della metà che qualcosa cambiasse, che valesse la pena continuare la lettura e ho tenuto duro solo per cercare di comprendere dove fossero nascosti gli elementi che hanno consentito ad alcuni di definire questo come il miglior romanzo di Carrisi.

Ora, “de gustibus non disputandum est” però, da amante famelica e instancabile di thriller questo è, con grande dispiacere, un enorme, amareggiato e dispiaciuto NO!

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