Recensione Gli aghi d’oro di Michael McDowell

Gli aghi d’oro

– Michael McDowell –

Formato: Copertina flessibile

Pagine: 540

Editore: Neri Pozza


Anno di Grazia 1882. New York festeggia il nuovo anno tra opulenza e miseria. Dalla sua dimora di Gramercy Park, il cinico giudice James Stallworth, affiancato dal figlio e dal genero, lancia la sua crociata: ripulire il famigerato Triangolo Nero, quartiere di bettole, bordelli, fumerie d’oppio e botteghe di ricettatori, su cui regna la feroce Black Lena Shanks col suo clan di donne versate nelle arti della crudeltà. Ma la sete di potere degli Stallworth dovrà misurarsi con la furia vendicatrice di Black Lena.
Con Gli aghi d’oro, Neri Pozza prosegue con la pubblicazione dei capolavori dell’autore di culto.

Riuscire a giudicare “Gli aghi d’oro” è qualcosa di davvero difficile. Sebbene la seconda parte sia molto coinvolgente, tanto da arrivare alla fine senza praticamente accorgersene, le prime trecento pagine sono eccessivamente lente e prolisse, tanto da far pensare al lettore di arrendersi ben prima che qualcosa succeda.

Non posso quindi giudicare la seconda parte in modo positivo senza ricordarmi di quanta fatica io abbia fatto nella prima.

Andiamo con ordine: la storia è molto semplice e inizia il primo giorno dell’anno 1882. Siamo a New York e un’agiata famiglia con a capo un irreprensibile giudice repubblicano decide di rilanciare il nome della famiglia acquisendo potere portando alla luce il degrado e la perversione del quartiere noto come “Triangolo nero” Proprio nel Triangolo Nero vive, in condizioni borderline di lecito e illegale la famiglia Shanks, con a capo Lena, regina e matrona di un impero criminale a cui proprio il giudice Stallworth ha tolto il marito condannandolo a morte.

A seguito di varie eventi tragici alla cui origine c’è la volontà del giudice di ripulire il “Triangolo” Lena darà avvio a una spietata vendetta che si esaurirà con il finire dell’anno di grazia 1882.

Potremmo dividere in tre parti distinte il giudizio su questo romanzo:

1. Bellissima ambientazione, personaggi colorati, strutturati perfettamente: sembra di sentire l’odore stantio, vedere la miseria e percepire il dolore. Caratterizzazioni spettacolari.

2. Inizio troppo lento e monotono, si fa fatica ad arrivare a pagina trecento tra desiderio di abbandonare e voglia di comprendere come evolverà la storia. A mio avviso però non basta creare un bel finale al cardiopalma per dimenticare trecento pagine soporifere.

3. Il finale è iper coinvolgente, si macinano pagine alla velocità della luce; all’inizio l’idea della vendetta diverte e elettrizza ma, per il mio gusto personale, quando poi tutto avviene, si perde in sole parentesi di cattiveria per le quali non ho nutrito nessun tipo di piacere, né nel leggerle, né tantomeno nel vederle come evoluzione finale di questa storia. Poteva essere fatto tutto con maggior stile e in modo più articolato e meno scontato.

Quindi, in conclusione, sebbene la prima parte sia davvero molto, troppo lenta, la seconda si riprende accelerando il ritmo dell’intera vicenda anche se, la fase vendicativa, poteva essere più di stile e meno raffazzonata a metà tra faida omicida e cattiveria pura. Si poteva fare meglio, in modo cattivo ma raffinato.

Infine, lo stile di Michael McDowell è riconoscibile e si ritrova la scrittura di un autore che abbiamo conosciuto grazie alla serie di BlackWater ma, come storia in sé, non bisogna fare paragoni perché “Gli aghi d’oro” è decisamente diversa e totalmente di altro stampo.

Michael McDowell (1950-1999) è uno scrittore americano che ha pubblicato oltre trenta romanzi e scritto per la televisione e il cinema (Beetlejuice e Nightmare before Christimas).

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